Avvenimenti storici, tradizioni e leggende del paese dei miei avi.

di Pietro Lo Conte

  1. Premessa

Questa ricostruzione storica non pretende di avere valenza scientifica. Non sono uno storico di mestiere e ho tratto tutte le informazioni esclusivamente da Internet e dai ricordi di famiglia. E’ tuttavia un valido motivo per riesaminare insieme il nostro passato e rivedere con gli occhi dei nostri contemporanei alcune tra le più importanti gesta dei nostri antenati nell’ambito dello scenario più esteso della storia del Mezzogiorno d’Italia.

  1. Preistoria (VI millennio a.C. – 900 a.C.)

Le origini di Ariano Irpino si legano alla posizione strategica del suo territorio che segna il confine naturale tra la Campania e la Puglia, in un punto dove, dalla più remota antichità, è ubicato il valico più agevole dell'Appennino.

I primi abitanti si insediarono già nel neolitico in questa terra e le loro tracce vanno ricercate nella zona collinare della Starza, lungo la S.S. 90 bis che oggi conduce da Benevento a Foggia. In località La Starza, infatti, sulla collina di Monte Gesso, lì dove il torrente La Starza incontra i fiumi Miscano e Cupido, sono state rinvenute significative tracce di insediamenti preistorici (un villaggio di capanne risalenti al Neolitico inferiore) che testimoniano l'importanza archeologica dell'intera area. In questa zona sono stati trovati reperti archeologici risalenti al VI millennio a.C.. Purtroppo le tracce presenti nel sito della Starza si perdono intorno al 900 a.C.

  1. Aequum Tuticum (900 a.C. – 600 d.C.)

Alle prime popolazioni appenniniche si susseguono nel tempo gli Irpini, provenienti da un ramo dei Sanniti, che fondano la città di Aequum Tuticum (pianura grande) nella zona di S.Eleuterio al confine con il comune di Castelfranco in Muscano (BN). Il primo insediamento diviene uno dei principali centri abitati della zona, noto anche per il culto della dea Afrodite. Sono stati rinvenuti resti di capanne, vasellame e tracce di strutture murarie appartenenti ad architetture domestiche, artigianali e difensive che testimoniano la successione delle culture nel territorio con continuità dalla protostoria fino alle soglie dell'età del ferro, e che continua ad essere frequentato fino all'epoca sannitica (V - VI sec. a.C.), come confermano frammenti di coppette monoansate e di coppe su alto piede cilindrico rinvenuti in loco, ed oltre. Intorno al 300 a.C. durante la III guerra sannitica la città viene espugnata da Fabio Fabriciano, figlio del proconsole dell’Hirpinia, che invia a Roma la statua della dea Afrodite Nicefora come preda di guerra.

Pertanto l’area viene romanizzata, diventando municipio romano. E’ un nodo stradale importantissimo, per la sua posizione di controllo tra Sanniti, Campani, Lucani ed Apuli, al centro dei traffici tra Tirreno e Adriatico, all’incrocio tra la Via Traiana che andava da est a ovest e la Via Herculia avente direzione nord-sud, all'incirca lungo il tracciato del Regio tratturo "Candela-Pescasseroli", su cui incidono anche la via Aemilia, l’Appia e l’Aurelia Aeclanensis. La città viene citata per la prima volta da Cicerone che in una sua corrispondenza con Pomponio Attico, scriveva proprio da Aequum Tuticum così dicendo: "sosta obbligata verso l’Apulia e città di elevata condizione sociale in quanto fornita di ogni comodità". Nel vicino colle sorgono i templi di Giove, Venere e Cibele. Devastata da un evento tellurico verso la metà del IV sec. d. C., viene poi parzialmente abbandonata nel periodo che intercorre tra la guerra goto-bizantina e la conquista longobarda.

Aequum Tuticum quindi inizia a decadere con il susseguirsi delle invasioni barbariche, ed intorno al VI-VII sec. la città scompare improvvisamente anche probabilmente a causa di altri forti e ricorrenti terremoti.

I pochi abitanti si raccolgono in un modesto casale che prende il nome di Casale Ianiensis che a partire dal 988 assume la denominazione di S. Eleuterio da una chiesa eretta in onore del santo. Gli scavi hanno restituito materiale ceramico di varia natura, manifatture e una serie di suppellettili di lusso che fanno pensare ad un tenore di vita agiato ed a scambi commerciali frequenti.

Alcuni storici dei Sanniti affermano che, con buona probabilità, Aequum Tuticum sia proprio la famosa Touxion (o Touticon), una leggendaria metropoli Sannita, anzi, addirittura la più importante, potente e fiorente città del Sannio, riportata in molti documenti storici e mai localizzata esattamente. Secondo queste fonti Touxion viene fondata da Diomede, in fuga da Troia e sbarcato sulle coste del Gargano. Pertanto nasce quasi contemporaneamente ad altre due città diomedee: Troia (FG) e Maleventum (Benevento). Aequum Tuticum rimane viva e attiva sino al tempo di Onorio (395-423 d.C.), poi distrutta, come viene distrutto tutto l’Impero Romano.

  1. Le vie di comunicazione

Soffermandoci un po’ più attentamente sulle vie di comunicazione dell’epoca vediamo una loro breve descrizione, sottolineandone l’importanza economica e la conseguente posizione strategica di Aequum Tuticum, prima, e di Ariano successivamente.

4.1     Regio tratturo

Il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela, da tempo immemorabile fonte economica legata alla transumanza delle greggi dall'Abruzzo alla piana pugliese, nasce sul confine fra Gioia (AQ) e Pescasseroli (AQ) alle sorgenti del fiume Sangro in Località Campo Mizzo, attraversando l'Abruzzo, il Molise, la Campania e la Puglia, termina il suo percorso al Pozzo di S. Mercurio a Candela (FG). Lungo 114 miglia e 636 passi, per una larghezza originaria di 111,60 metri, nel territorio della Comunità Montana della Valle dell'Ufita tocca i comuni di Casalbore, Montecalvo Irpino, Ariano Irpino, Villanova del Battista e Zungoli. In prossimità del Ponte di S. Spirito, nella valle del fiume Miscano, il Regio Tratturo è ricalcato per un tratto dalla via Traiana.

Lungo il Regio Tratturo il passaggio di numerosissimi armenti ha fatto sì che si sviluppassero villaggi durante il periodo preistorico e, durante l'impero romano e per tutto il medioevo, tutta una serie di servizi pubblici quali taverne, fontane, pozzi, officine varie e luoghi di culto prima pagani e poi cristiani. Servizi, questi, necessari al ristoro del corpo e dello spirito. Grande è l'importanza storica e archeologica di questa grande via di comunicazione, di scambio e di vendita di prodotti caseari e della lana, soprannominata anche "la via della lana".

4.2     Via Appia

La via Appia, mentre da Roma a Capua è una strada creata ex novo nel 313-312 a.C., nel tratto da Capua a Venosa, eseguito dopo le guerre sannitiche, segue vie naturali. Proveniente da Caudium giunge a Benevento, importantissimo nodo viario e ne esce in tre bracci: uno per Aequum Tuticum, Aeclanum e Abellinum, un secondo, la via Latina da Telesia ed un terzo di collegamento con il Sannio Meridionale attraverso Saepinum. Secondo alcuni studiosi in età repubblicana l'Appia ha un percorso più breve e solo successivamente, al tempo di Adriano viene fatta passare per Aeclanum.

Il tracciato quindi si dirige, attraverso la valle dell'Ufita, a Trevico. Tra le ipotesi c'è anche quella che, all'altezza di Aeclanum, l'Appia si biforcasse per proseguire da un lato verso Frigento e dall'altro lungo i contrafforti di Trivicum.

4.3     Via Æmilia

Nel sito di Fioccaglie di Flumeri (AV), si stacca dall'Appia una via consolare di età repubblicana, l'Aemilia, diretta a Aequum Tuticum e quindi a Luceria. Due cippi miliari del II sec. a. C. rinvenuti il primo nel sito della Manna ed il secondo a S. Lucia di Camporeale nel tenimento di Ariano Irpino, recano il nome di Marcus Aemilius Lepidus.

4.4     Via Herculia

La via Herculia viene così chiamata in onore di Valerio Massimiano soprannominato l'"Erculio", che ne cura la sistemazione tra la fine del III e l'inizio del IV sec. d.C.. Ricalcando in parte il tracciato del Regio Tratturo Pescasseroli-Candela essa prosegue in direzione del fiume Cervaro, verso Difesa Grande (Ariano Irpino), Monteleone (FG), Scampitella (AV) e Venosa (PZ), dirigendosi poi a sud verso Potentia (Potenza).

4.5     Via Traiana

La via Traiana è una delle strade più importanti costruite tra il 108 e il 110 d. C. per la sua funzione di collegamento tra l'Italia e i principali imbarchi verso l'Oriente. Voluta da Traiano ricalca un tracciato di cui si erano serviti già nei secoli addietro i Romani durante le guerre sannitiche. Essa, che dopo l'Appia rappresenta la seconda grande via romana di penetrazione nell'Irpinia proveniente da Benevento, nel territorio Irpino tocca i comuni di Casalbore, Montecalvo Irpino, Ariano Irpino, Greci. Dopo il sito S. Maria dei Bossi la via si immette nella contrada S. Spirito verso il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela coincidendo con esso per un lungo tratto. Giunta alla confluenza del torrente Ginestra con il fiume Miscano, al miglio XVI, la via Traiana, attraverso il ponte di S. Spirito o del Diavolo, supera il torrente della Ginestra e, seguendo sempre il Regio Tratturo, giunge nel sito della Malvizza di Montecalvo Irpino. A questo punto lascia il Regio Tratturo che vira a destra e prosegue in direzione del Ponte sul Miscano giungendo, nei pressi dell'attuale Ariano Irpino, a Aequum Tuticum. Proseguendo la strada continua in salita in direzione Tre Fontane di Greci e di lì verso S. Vito di Faeto, in provincia di Foggia, si dirige in direzione di Brindisi. La via Traiana, a differenza dell'Appia, abbandonata dopo la caduta di Roma, acquista notevole importanza sotto la dominazione gota e longobarda. Sotto la dominazione normanna, quando il territorio irpino si popola di castelli e cinte murarie, la via Traiana serve per il trasporto veloce in Campania delle derrate dalle Puglie.

4.6     Via Aurelia Æclanensis

La via Aurelia Aeclanensis, raggiungendo Aequum Tuticum, viene a collegare direttamente la via Appia con la via Traiana. La sua esistenza è documentata da due cippi miliari, uno rinvenuto a circa 4,5 Km da Aeclanum, l'altro sottostante la contrada "Migliano" a Scampitella. Questa strada diretta ad Ordina in Abulia, ricalcava all'incirca il percorso dell'attuale arteria stradale che da Grottaminarda attraverso Corso Fiumarella, Vallesaccarda, Scampitella in Fraz. Toto, discende nella valle del Calaggio costeggiandola fino a giungere a Candela presso il Ponte Romano detto "Ponte del Diavolo".

  1. Il Tricolle longobardo (500 d.C.)

A seguito del lento abbandono del luogo dove era sorta Aequum Tuticum, la popolazione va ad occupare un area nuova “vuota”, posta su un'altura a sud a circa 8 chilometri di distanza.

Inizia quindi l'insediamento sul "Tricolle”, l’attuale area di Ariano, erede diretto di Aequum Tuticum, che, grazie alla posizione topografico-politica, diventa la principale roccaforte longobarda a diretto contatto con i domini greci della Puglia. E’ senz’altro in una posizione più difendibile per via della sua altura, appartato rispetto alle grandi vie di comunicazione, al riparo, perciò, intorno al VI sec.d.C., dal continuo andirivieni di Goti e Bizantini.

Essa è anche un'area anticamente sacra, perchè sul primo colle, ora Piano della Croce, si insediava il tempio di Giano, da cui probabilmente deriva il nome Ariano “Ab Ara Iani” e sul secondo, l'attuale Cattedrale, si ergeva il tempio di Apollo.

Esistono altre due interpretazioni del nome Ariano. Secondo la prima il nome deriverebbe dalla presenza di un "fundus Arianus", che a sua volta potrebbe derivare dal sacello dedicato al Dio Giano, in ciò avvalorato da numerosi rinvenimenti epigrafici. Un’altra interpretazione farebbe derivare il nome dal termine "ayrale" (luogo incolto).

Con l’arrivo dei Longobardi, la conquista di Benevento, tolta ai Greci-Bizantini da Zotone, e la nascita del Ducato Longobardo che ebbe durata dal 571 al 774, il territorio di Ariano rientra in quella sfera di influenza politica e religiosa. Nel X sec. il guastaldato Ariano diventa contea.

All’11 gennaio 848 e al 25 ottobre 989 risalgono i primi violentissimi terremoti di cui si abbia traccia scritta.

5.1     L’apparizione della Madonna dell’Incoronata.

Ed è proprio uno dei primi Conti di Ariano che si rende testimone di un evento miracoloso. Una notte di fine aprile del 1001, il conte di Ariano Irpino (di cui si ignora il nome) sognò di fare una caccia copiosa di selvaggina nel bosco di Cervaro, vicino l'odierna Foggia, e traendo buoni auspici dal sogno, si mise subito in viaggio. L'ultimo sabato del mese, durante una battuta alle prime luci dell'alba, il conte ferì un daino che però nonostante sanguinasse riuscì a fuggire. L'uomo lo inseguì e poco dopo lo trovò inginocchiato ai piedi di una grande quercia. Si avvicinò per prenderlo, ma quando fu sotto la quercia l'albero fu avvolto da una luce abbagliante e da "lampi di fuoco" che sembravano bruciarla. Quella stessa mattina anche Strazzacappa, un pastore del luogo, aveva perso due buoi nel bosco. Anch'egli li ritrovò sotto la quercia, e quando si avvicinò per prenderli fu come il conte folgorato dal grande bagliore, e si ritrasse smarrito. Mentre i due uomini erano in preda allo stupore, una voce si alzò dalla luce. "Non abbiate paura," disse, "io sono Maria, la Madre di Dio. Desidero qui una cappella in mio onore, e io la renderò famosa per le grazie concesse a quanti mi invocheranno con cuore sincero di figli. Pregatemi dunque dinanzi a questa immagine." Quando la voce cessò, anche il bagliore che avvolgeva la quercia scomparve, e fra i rami dell'albero il conte e Strazzacappa videro una Madonna Nera con il Bambino Gesù sulle ginocchia. Quella stessa notte una schiera di angeli e santi scesero nel bosco in una cavalcata celeste e incoronarono la statua che da allora fu conosciuta come Madonna Incoronata, così come il luogo divenne il bosco dell'Incoronata. Dopo l'apparizione il conte di Ariano se ne ritornò nelle sue terre, e qualche tempo dopo si ammalò gravemente. Strazzacappa, invece, per devozione alla Madonna mise dell'olio nella "caldarella", la pentola di rame che usava per cuocere il cibo, e con uno stoppino ne fece una lampada votiva che appese ai rami della quercia. E fu testimone di un secondo prodigio. La fiamma della "caldarella" arse per giorni e mesi senza consumare l'olio. I pellegrini che già venivano in gran numero a pregare la Madonna si unsero allora con l'olio miracoloso e molti di essi che avevano chiesto la grazia furono guariti nel corpo e nell'anima. Il conte di Ariano, ormai in fin di vita, venne a sapere delle proprietà miracolose dell'olio; allora si unse anche lui, e in un istante risanò completamente. Questa volta non mancò di ringraziare la Vergine per il miracolo e sul luogo dell'apparizione fece erigere la prima cappella su cui poi sorgeranno gli edifici che diventeranno il grande e moderno santuario di oggi.

  1. I Normanni (1042 - 1195)

Nel 1017 un gruppo di cavalieri normanni, di ritorno dalla Terra Santa si fermò in Italia e tre anni dopo fu al servizio dei Bizantini dominatori della vicina Puglia. Il potere dei Normanni crebbe al punto che nel 1042 spodestarono i Bizantini e divennero padroni assoluti di tutta la regione. Più tardi, nel 1096, dopo aver scacciato i musulmani dalla Sicilia, gli stessi dettero origine al Regno Normanno, successivamente diviso in contee. Guglielmo divenuto Conte della regione, divise le terre conquistate con altri 11 compagni tra cui Gerardo di Bonne Herberg (Buonalbergo) cui toccò una vasta zona compresa tra Ariano e Morcone. La Contea di Ariano conosce con il conte Gerardo e i suoi successori Ariberto e Giordano, la fase del suo massimo prestigio e potenza. Nel 1122, quale risultato della lotta tra Guglielmo duca di Puglia, alleato con Ruggero II re di Sicilia, e Giordano conte di Ariano, Casalbore e Buonalbergo, l’esercito pugliese-siciliano costrinse quest’ultimo alla fuga. Cinque anni più tardi il figlio di Giordano, Ruggero, fu fatto prigioniero e spedito in Sicilia con la moglie; pertanto, nel corso di tali vicende, Ariano si ritrovò alle dipendenze del re di Sicilia, sotto influsso pugliese. Cancellati i Longobardi e i Bizantini dalla regione, i Normanni potenziarono il vecchio castello longobardo di Ariano, costruendo una struttura possente quadrangolare e trasformando la città in uno dei maggiori centri del loro dominio. Con i Normanni, Ariano assunse comunque nuovamente un ruolo di primaria importanza e fu scelta come centro di un vasto territorio che comprendeva larga parte del Sannio e dell'Irpinia.

Tutta l'Italia meridionale, unitamente all'isola di Trinacria, costituiva allora il Regno di Sicilia fin dal 1130, quando fu istituito dall'Antipapa Anacleto II e successivamente legittimato, nel 1139, per mano di Papa Innocenzo II. Il Regno di Sicilia fu governato dai Normanni dal 1130 al 1195.

Il 12 maggio e l’11 ottobre 1125 due forti terremoti distruggono Benevento e molte città nel circondario tra le quali anche Ariano.

Nel 1139 la cenere proveniente dal Vesuvio, copre il suolo per 5 centimetri.

Nel 1140 un terremoto produsse una voragine “che inghiottì Ariano”.

6.1     Le Assise di Ariano (1140)

Nel suo Castello, potenziato e ingrandito, nell’estate del 1140, Ruggero II il Normanno, Re delle Due Sicilie, tiene il suo primo Parlamento ed emana la nuova costituzione “Costitutiones Regni Siciliae” nelle famose Assise di Ariano, battendo la nuova moneta d’argento il Ducato, che durerà fino al 1860, ed i “Tre Follari” da sostituirsi questi alle antiche “Romesine”. Le Assise rappresentano una sintesi di tradizioni giuridiche diverse, ispirate al diritto romano, al Codice Giustinianeo, all'Editto di Rotari, al diritto canonico, alle testimonianze bibliche e cristiane. Qui ne possiamo vedere un estratto:

CAPITOLI DI ASSISE

Affinché i servi e gli ascrittizi non siano ordinati
Nessun vescovo osi ordinare gli ascrittizi senza il consenso di quelli al cui diritto sono sottoposti.
Il giudeo e il pagano non osino comperare come servo un cristiano, nè possederlo ad altro titolo.

Dei giocolieri
Mimi, mime, cinedi e prostitute non usino in pubblico abiti e vesti monacali o clericali; se abbiano osato tanto siano pubblicamente flagellati.

Del ratto
Se qualcuno abbia osato rapire a fine di matrimonio vergini consacrate o che non abbiano ancora indossato il velo, sia punito con pena capitale.

Dei matrimoni
Con la presente legge stabiliamo che sia fatto obbligo a tutti quelli che hanno intenzione di contrarre legittimo matrimonio di chiedere, dopo gli sponsali solennemente, ciascuno a suo modo e piacimento, di entrare in chiesa per ottenere la benedizione dei sacerdoti; dopo che è seguita l'investigazione pongano l'anello e si sottomettano alle preghiere e alle richieste del sacerdote, se vogliono riservare la successione ai futuri eredi. Sappiano inoltre quelli che d'ora in poi si pongono contro il nostro editto reale che, secondo la nostra disposizione non avranno come eredi legittimi, nè per testamento nè per successione ab intestato, i nati dal matrimonio illecito; le donne non abbiano neanche la dote legittima dovuta alle altre spose. Liberiamo infine da questo vincolo obbligatorio quelli che vogliono sposare le vedove.

Del delitto di adulterio
Con legge generale ordiniamo, tutte le volte che per nostra cura e disposizione sia stata presentata ai giudici una accusa di adulterio o stupro, di osservare le persone con occhio non annebbiato, di considerare le condizioni, di indagare sull'età e sull'intenzione, se si siano spinte al delitto con premeditazione e consapevolezza, o con leggerezza dovuta all'età, o vi siano cadute, o soprattutto per risentimento nei confronti del marito; affinché indagate tutte queste cose, dopo averle verificate con prove o averne constatata l'evidenza, venga pronunciata la sentenza più mite o più severa per le trasgressioni commesse non secondo il rigore delle leggi, ma con la bilancia della equità. Amministrata infatti così, la nostra giustizia corrisponde alla giustizia divina.
Mitigata dunque l'asprezza delle leggi, non si deve infliggere come una volta la pena di morte con la spada, ma si deve applicare la confisca del patrimonio di lei, se non abbia avuto figli legittimi dal matrimonio violato o da altro. È infatti ingiusto che siano privati della successione quelli che sono nati al tempo in cui la legge della convivenza coniugale era legalmente rispettata.
Deve invece essere consegnata al marito che in nessun modo dovrà infierire a rischio della vita, ma dovrà punire l'adulterio con il taglio del naso, e ciò sia fatto inesorabilmente e nel modo più esemplare, ma non sarà lecito nè al marito nè ai genitori infierire oltre. Se poi suo marito non si sarà voluto vendicare su di lei, noi non lasceremo che un delitto di tal fatta resti impunito ed ordiniamo pertanto che venga pubblicamente flagellata.

Delle ingiurie inferte ai militari di corte
Quando si procede per ingiurie siano molto attenti i giudici a considerare il prestigio dei dignitari della curia ed emanino la sentenza secondo la qualità delle persone, di coloro cioè ai quali sono fatte (le ingiurie) e di coloro che le fanno e quando e se sia ritenuta la temerarietà emanino la sentenza secondo la qualità delle persone; l'ingiuria rivolta ad essi non costituisce però offesa soltanto ad essi ma anche alla dignità regia.

Degli assassini
Chiunque abbia ucciso l'aggressore o il ladro, trovandosi in pericolo di vita, non deve temere per questo fatto alcuna accusa.

Del ladro
Non è punibile chi abbia ucciso uno di notte se non sia stato possibile fermarlo diversamente, purché ciò avvenga con clamore.

Delle ingiurie inferte ai privati
Ciò che è conforme al diritto e alla ragione è abbastanza ben accetto a tutti, mentre ciò che si discosta da un criterio di equità rappresenta per tutti una cosa inaccettabile. A nessuno fà perciò meraviglia se il sapiente e l'amico dell'onestà ragionevolmente si indigna quando sia trascurato, disprezzato e offeso iniquamente ciò che di più elevato e degno Dio abbia inculcato nell'uomo. Cosa c'è infatti di più assurdo del fatto che sia valutato allo stesso modo lo strappo della coda del cavallo e lo strappo della barba di un galantuomo?
Pertanto su suggerimento e su preghiera del popolo soggetto al nostro regno, consapevoli dell'inadeguatezza delle sue leggi, proponiamo questa legge ed editto: qualora ad uno qualunque del popolo sia stata consapevolmente e deliberatamente strappata la barba, il reo di tale atto subisca una pena di questo tipo, sei soldi d'oro, cioè reali; se invece il fatto sia avvenuto involontariamente e senza premeditazione, nel corso di una rissa (sia condannato a pagare) tre dei medesimi soldi.

6.2     Biografia di Sant'Ottone Frangipane Eremita (1040 – 1127) Patrono di Ariano

Secondo la tradizione arianese, S. Ottone nacque a Roma verso il 1040 e discendeva dalla nobile famiglia dei Frangipane. Verso il 1058-1060, S. Ottone dovette partire, come i coetanei del suo rango, in qualche spedizione militare, forse a favore del papa. In una di queste, Ottone fu catturato dagli avversari e imprigionato. Liberato dalla prigione per intervento divino, per intercessione di S. Leonardo di limoges, tornò a Roma. Da lì si mise in pellegrinaggio a visitare devotamente vari santuari cristiani per varie regioni del mondo. I pellegrinaggi durarono quasi 50 anni. Si è pensato che durante questi anni Ottone abbia vestito i panni dell’Ordine benedettino e che abbia vissuto per un certo tempo nell’Abbazia della SS. Trinità di Cava dei Tirreni e che abbia visitato S. Guglielmo da Vercelli a Montevergine.

Dopo lungo pellegrinare, il santo giunse ad Ariano Irpino verso il 1117. Qui Ottone per tre anni gestì un ospizio per pellegrini, che egli stesso aveva fondato, dando esempi di carità, finché non decise di ritirarsi a vita eremitica, a quasi un miglio dalla città, nella chiesa di S Pietro apostolo, oggi ancora esistente e chiamata S. Pietro de’ reclusiis. Accanto alla chiesa si costruì una piccola cella e vi si rinchiuse. Qui, S. Ottone compì molti miracoli. Nel suo romitaggio, il santo aumentò l’austerità, prolungò le sue vigilie di preghiere, diminuì il cibo e aumentò le penitenze. Nella piccola cella scavò una fossa a mò di sepolcro per ricordare a sé stesso la morte, come monito a vivere santamente. Nel 1127, dopo sette anni di eremitaggio e 10 anni trascorsi ad Ariano, S. Ottone morì. Appena gli arianesi appresero della morte del santo, essi si recarono commossi alla sua cella. Deposto il corpo del santo su un carro, gli arianesi lo portarono in processione in cattedrale, ove il vescovo di Ariano lo fece deporre in un posto d’onore.

Il culto degli arianesi verso S. Ottone dovette iniziare assai presto. Certo comunque doveva già esistere quando gli arianesi, per mettere al sicuro il corpo del santo dalle incursioni saracene, lo traslarono a Benevento. Questo dovette accadere nel 1220 sotto Federico II quando i saraceni costituivano una minaccia in Puglia e nelle nostre zone.

Tra i prodigi operati dal santo dopo la morte, la tradizione tramanda quello avvenuto tra gli anni 1175-1190 quando con una gragnola di pietre caduta dal cielo per intercessione di S. Ottone, apparso tra le nuvole, i saraceni furono respinti dall’assedio della città. In ricordo di questo avvenimento ad Ariano fu costruita una chiesa S. Maria della Ferma.

Fra i miracolati del santo vi fu anche S. Eleazario de’ Sabran, che divenne conte e anch’esso patrono di Ariano. Molto noto è il voto che gli arianesi fecero nel 1528 a S. Ottone in tempo di peste per esserne liberati. In altre circostanze, dice la tradizione, Ariano fu salvata o preservata dalla peste dal santo.

Ad Ariano i maggiori centri di culto del santo sono la cappella di S. Ottone, la principale della cattedrale, e la antica chiesa di S. Pietro de’ reclusiis. Il più bel monumento dedicato a S. Ottone ad Ariano è sicuramente la statua del santo posta nel 1502 dall’allora vescovo di Ariano, Nicola degli Ippoliti, nella nicchia sovrastante il portone destro della facciata della cattedrale. Sotto la nicchia è scolpito questo bel distico: “ASSURGAS QUICUMQE POTES SPECTARE FIGURAM NAM PATER EST URBIS NOMINE DIVUS OTHO” (Salga ai suoi piedi chiunque vuol vedere la sua immagine, perché il patrono della città si chiama Ottone).

Ad Ariano Irpino il santo è solennemente festeggiato il 23 marzo e nell’ottava dell’Assunta.

  1. Gli Svevi (1195 - 1266)

Con il matrimonio tra Enrico IV Hohenstaufen di Svevia (Germania), figlio di Federico Barbarossa, e Costanza di Sicilia, ultima erede normanna, inizia il dominio svevo nel Regno di Sicilia. Il loro figlio Federico II inizialmente appoggiato dal papa Innocenzo III, acquista sempre più potere nel sud d’Italia al punto da minacciare l’influenza stessa del papa.

Questo passaggio è traumatico per Ariano che, rimasta fedele alla Chiesa ed in particolare a papa Innocenzo IV, viene assediata dai Saraceni di Lucera mercenari al servizio del figlio di Federico II, il reggente Manfredi, che vuole punirla per aver accolto e assecondato l’esercito papale inviato contro di lui. Quindi Ariano subisce un assedio e viene presa e saccheggiata nel marzo 1255. Risale all’11 novembre 1262, infatti una Bolla di Urbano IV con la quale si invitava Manfredi a comparire innanzi di lui personalmente o per mezzo di procuratori per soggiacere a ciò che era di giustizia per le accuse dei delitti commessi, tra gli altri, in primo luogo, quello “super destructione civitatis Arianensis quam per Saracenos fecit funditus dissipari” (sulla distruzione della città di Ariano che egli fece dissolvere dalle fondamenta dai Saraceni).

In questo periodo Ariano viene anche devastata da due violenti terremoti.

  1. Gli Angioini (1266-1442)

Nel 1266 il regno passò agli Angioini, allorquando Carlo d'Angiò, fratello del Re di Francia Luigi IX, chiamato in Italia da Papa Clemente IV, sconfisse Manfredi nell’epica battaglia di Benevento, in cui lo stesso Manfredi rimase ucciso. La conquista divenne definitiva due anni dopo quando Carlo d'Angiò sconfisse, nella battaglia di Tagliacozzo, l’ultimo discendente della famiglia Hohenstaufen il non ancora diciottenne Corradino di Svevia, pretendente al trono del Regno di Sicilia, quale discendente diretto di Federico II. Il 1268 vide, quindi, la scomparsa degli Svevi dalla scena politica europea e l'affermazione della dinastia angioina nel meridione d'Italia, nella persona di Carlo I d'Angiò, primo Re di Sicilia.

Il re Carlo I, riedifica Ariano ne restaura il castello ed il 26 febbraio 1269 concede la Contea di Ariano e le terre di Montefusco, Padula, Laurino e Pungoli al Francese Enrico de Vaudemount (di Valdimonte).

8.1     Carlo d’Angiò e le Sacre Spine

La tradizione vuole che Carlo d'Angiò grato alla città che si era fatta saccheggiare dagli Svevi pur di rimanergli fedele, decise di donare nel 1269 due Spine della corona di Cristo. Da allora le reliquie fanno parte del tesoro della Cattedrale e ogni anno in agosto vengono portate in processione. Viene anche fatta una revocazione storica degli eventi avvenuti, la distruzione della città e la sua ricostruzione con il dono del sovrano al vescovo. La festa prosegue qualche giorno dopo, con la rievocazione della "Bbuffata de li strazzati", un banchetto offerto dal conte Enrico a tutti i poveri e miserabili che avevano patito il saccheggio dei Saraceni.

Nel 1282 ha inizio una lunga guerra, detta "guerra del vespro", scatenata dai Vespri Siciliani, movimento di ribellione con cui gli isolani rivendicavano la propria indipendenza nei confronti di Napoli. A conclusione della guerra (nel 1372) il Regno di Sicilia fu diviso in due parti, la Sicilia andava sotto il controllo degli Aragonesi, che erano intervenuti con Pietro III (genero di Manfredi di Svevia) a sostegno dei siciliani, mentre la parte continentale, con capitale Napoli, andava sotto il controllo degli angioini, da sempre appoggiati dal Papa Bonifacio VIII e dalla Francia. I sovrani che sottoscrissero il trattato di pace nel 1372 furono la Regina Giovanna I d'Angiò e Federico IV di Sicilia.

8.2     La Famiglia De Sabran (1294-1413)

Anche se non direttamente governata dagli Angioini, la città continua tuttavia a rimanere sotto la loro influenza passando nelle mani di una famiglia provenzale, ad essi imparentata, i De Sabran (o De Shabram o Desabramo o De Sabramo) dal 1294 al 1413. Il Capostipite è Ermengao de Sabran. Si ricorda che la famiglia dei De Sabran ha dato i natali a S. Elzeario, figlio di Ermengao, e la moglie Beata Delfina di Signe, due dei quattro patroni di Ariano (gli altri due sono il già citato S.Ottone Frangipane e San Liberatore o Eleuterio, martire di epoca romana). A S. Elzeario succede il fratello Guglielmo (27 settembre1323), il quale ha molto da fare nel contenere il figlio Luigi che gli sottrae la città nel 1353. Interverrà il papa Clemente VI minacciando una scomunica per indurgli a restituire il maltolto. Per questa condotta poco lodevole Guglielmo   disereda Luigi ed alla sua morte (1357) la contea passa al secondogenito Guglielmo II, questi tuttavia cederà nel 1371 la contea al fratello Giovanni in cambio della città di Anglona (Lucania). L’ultimo dei De Sabran, Ermenegildo (o Ermingao), si ribellò alla Regina Giovanna ed al Re Ladislao da cui fu spodestato.

L’8 settembre e il 10 ottobre 1349 per forti scosse di terremoto rimangono rovinati molti edifici della città, tra cui il Convento e Chiesa di S. Francesco, riedificati poi nel 1465 da Arrigo (Inigo de Guevara), Conte di Ariano.

8.3     Biografia di S. Elzeario de Sabran (1285-1323) Patrono di Ariano

Un santo laico del XIII secolo, francese di nascita, sposo casto, condottiero di esercito, difensore del papa, è compatrono di Ariano Irpino, di cui porta il titolo di conte. Elzeario, il cui nome nei vari processi di canonizzazione è modificato in vari modi fra latino, lingua volgare e francese, nacque ad Apt in Provenza nel 1285, primogenito di Ermengao de Sabran conte di Ariano e di Laudana d’Albe de Roquemartine.

Studiò presso lo zio Guglielmo de Sabran, abate del monastero benedettino di S.Vittore in Marsiglia. Per volere del re Carlo II d’Angiò, dovette sposare giovanissimo, la futura beata Delfina di Signe, così pur non volendo, si incontrarono due anime belle, che riluttanti al matrimonio, stabilirono di comune accordo, di conservare la loro castità.

Elzeario, morto il padre, ereditò fra l’altro il titolo di conte d’Ariano, quindi venne in Italia, per prendere possesso della contea, ma l’accoglienza del popolo fu ostile, in quanto contrario al vassallaggio, preferendo dipendere direttamente dal re. Fu suo merito e per le virtù professate, che riuscì a conquistare l’amore del popolo, per questo fu apprezzato dal re di Napoli Roberto d’Angiò, che quando nel 1312, fu necessario inviare dei soldati in aiuto del papa assediato a Roma dall’esercito dell’imperatore Enrico VII di Lussemburgo, ne affidò il comando ad Elzeario.

Fu inoltre incaricato di delicate missioni presso la corte di Francia, dove nel 1323, durante uno di questi incarichi, si ammalò gravemente, tanto da morire a Parigi il 27 settembre 1323 a soli 38 anni; fu sepolto ad Apt nella chiesa dei Francescani, di cui era fedele Terziario.

La sua fama di grande uomo di carità, specie nell’assistenza ai lebbrosi, si diffuse largamente al punto di attirare l’interesse dei pontefici dell’epoca e fu proprio papa Urbano V, che era suo figlioccio di battesimo, che ne riconobbe la santità, ma che venne poi proclamata ufficialmente il 5 gennaio 1371 dal suo successore papa Gregorio XI. Le sue reliquie furono trasferite nel 1791 dalla chiesa francescana di Apt, alla cattedrale della città, dove sono tuttora venerate, insieme a quelle della sua casta sposa, la beata Delfina. Ha culto liturgico in Apt, in Avignone, nella Badia di S. Vittore di Marsiglia, nell’Ordine Francescano e in Ariano Irpino, dove nel giorno della sua festa il 27 settembre, si tiene un’antichissima fiera con grande partecipazione di popolo.

8.4     Biografia della Beata Delfina di Signe 1283-1371 Patrona di Ariano

Il nome e la figura di questa Santa furono ben noti ai fedeli francesi dei tardo Medioevo. Anche da noi sono noti e usati i nomi di Delfino e di Delfina, ma si sa come questi siano tipici della Francia e costituissero un tempo, non il nome, ma il titolo dei primogeniti o delle primogenite dei Re francesi, cioè dei principi ereditari che, in attesa di salire al trono venivano investiti del feudo francese del DeIfinato. Santa Delfina ci appare come una incantevole figura di donna, che passa nel mondo portando ovunque la luce della sua grazia, il profumo della sua virtù, il tepore del suo affetto. Non una santità clamorosa, che abbia scavato un solco nella storia del suo tempo o abbia lasciato un nodo di fuoco nel tessuto della Chiesa. Una santità delicatamente femminile, che si allargò attorno a lei come linfa silenziosa e generosa, a nutrire nel bene quanti furono a lei vicini durante la sua lunga vita.

Figlia unica dei Conti di Marsiglia, era nata a Puy-Michel, nel 1283, e fin da bambina la sua presenza fu di luce e di consolazione alla sua famiglia. A dodici anni era già fidanzata con un giovane non inferiore a lei per gentilezza di tratti, nobiltà di sangue e bellezza d'animo. Infatti Elzeario, il promesso sposo, era figlio del Signore di Sabran e Conte di Ariano, nel reame di Napoli; alla nascita, sua madre l'aveva, in spirito, offerto a Dio, e più tardi un austero zio l'aveva educato in monastero. Le nozze avvennero quattro anni dopo. Fu un matrimonio "bianco", perché i due giovani sposi scelsero la castità come più alto e più arduo mezzo di spirituale perfezione. Nel castello di Ansouis, i due nobili coniugi vissero non da castellani, ma da penitenti; non da feudatari, ma da asceti degni dei tempi eroici della prima Chiesa. Passati nel castello di Puy-Michel, entrarono a far parte del Terz'Ordine di San Francesco. La loro vita interiore s'arricchì allora di una nuova dimensione, quella della carità, attraverso la quale essi, ricchi di condizione, si fecero simili ai poveri per soccorrere i poveri. Delfina e il marito si dedicarono così, dopo le penitenze, le preghiere, le mortificazioni, a tutt'e sette le opere di misericordia, rifulgendo in tutte, nessuna esclusa.

Quando Elzeario fu invitato nel suo Ducato di Ariano, quale ambasciatore nel Regno angioino di Napoli, la benefica attività dei due sposi continuò in un ambiente ancor più difficile. I Napoletani infatti erano ostili ai governanti angioini. Tumulti e ribellioni, provocati dallo scontento, erano all'ordine del giorno.

Nel Regno angioino, i due Santi furono ambasciatori di concordia, di carità e di preghiera. Continuarono le loro opere buone, moltiplicando i propri sforzi e i sacrifici, fino a conquistarsi l'ammirazione del popolo. Elzeario morì poco dopo, a Parigi, e venne sepolto in Provenza. Delfina invece gli sopravvisse a lungo, ed onorò la memoria del marito nel migliore dei modi possibili, continuandone cioè le opere buone e imitando le virtù, che ella stessa aveva ispirato nel consorte, con la sua schiva ma suasiva vicinanza. Ebbe la più grande gioia che possa toccare ad una moglie, desiderosa della felicità, non solo terrena, del proprio marito. Non era infatti ancor morta quando vide il marito posto dalla Chiesa nel numero dei Santi.

Allora anch'ella, quasi novantenne, poté reclinare la testa nell'eterno riposo. Venne sepolta accanto al marito, al quale poco dopo, sarebbe stata unita anche dal riconosciuto titolo di santità.

  1. Gli Aragonesi (1442 – 1504)

Il Regno di Napoli fu quindi governato fino al 1442 dalla dinastia angioina, per passare, dopo questa data, agli aragonesi. Alfonso d’Aragona infatti, prima alleato e poi avversario nei confronti di un’alleanza lombardo-veneta, riuscì a riconquistare Napoli e riunire il Regno di Napoli alla Sicilia.

Ariano segue le vicende altalenanti di questo periodo storico ed infatti inizialmente (nel 1417) tutta la contea passa a Francesco Sforza, celebre condottiero e futuro duca di Milano, e successivamente viene presa da Alfonso d'Aragona.

Il 20 agosto 1440 viene lasciata da Alfonso d’Aragona nelle mani del Gran Siniscalco lo spagnolo Inico (Inigo, Arrigo, Errico) de Guevara che si era distinto come uno dei suoi migliori generali durante la conquista del Regno di Napoli. In questa occasione il Re Alfonso I d’Aragona gli dona la terra di Vasto e lo nomina Conte di Ariano, di Potenza e di Apice. De Guevara la conserverà fino al 1462 anno della sua morte, a seguito di ferite riportate in uno scontro presso Troia. La contea di Ariano passa quindi al figlio, il Conte Pietro, che sposa Isotta la figlia del Duca d’Andria. Pietro non avrà figli maschi e nel 1485 perderà la città, a seguito della sua partecipazione alla congiura dei Baroni contro il Re Ferdinando I d’Aragona ed in favore del Papa Innocenzo VIII. Il Fratello Antonio ed i suoi discendenti furono Conti di Potenza.

La notte del 3 dicembre 1456 muoiono quasi 2000 arianesi a causa di un violentissimo terremoto (probabilmente il più grave della sua storia), in cui tutti gli edifici vengono danneggiati.

Secondo documentazione dell’epoca, nel 1489 tutta la città si impegna alla ricostruzione del Castello, rinunciando anche al lavoro dei campi pur di dedicare tempo all’estrazione e al trasporto delle pietre.

Nel 1493 una epidemia di peste a Napoli ha ripercussioni anche su Ariano e sulla sua economia. Infatti viene proibito ai cittadini residenti in città di recarsi a Napoli, e viceversa a quelli che si trovano già in Napoli di ritornare ad Ariano, ed inoltre viene severamente vietato ai contadini di Ariano di recarsi nelle Puglie per la mietitura.

  1. I Carafa (1495 – 1532)

A seguito della confisca di tutti i feudi avvenuta a danno di Pietro da Guevara, Conte di Ariano e Gran Siniscalco del Regno, il quale aveva preso parte nella Congiura dei Baroni contro il Re Ferdinando I d’Aragona, il Re Ferrante II d’Aragona vende la città di Ariano allo Scrivano di Razione Alberico Carafa, Conte di Marigliano, ed ai suoi eredi e successori, per 7000 ducati. Alberico Carafa riceverà dal re Ferrante d'Aragona anche il titolo di duca di Ariano (14 maggio 1498). Dopo una brevissima parentesi di dominio francese, durante la quale, su richiesta degli arianesi la città rimane al Duca Alberico Carafa, il regno viene formalmente unito alla Spagna nel 1504 (e lo sarà fino al 1713), perdendo il 'titolo' e diventando così, per due secoli Vicereame di Napoli, in quanto governato da un viceré in rappresentanza del re di Spagna. Alla morte di Alberico (7 settembre 1505) la città passa in mano al figlio Gian Francesco. Uno dei filgi di Gian Francesco, Diomede, sarà vescovo di Ariano (1511). Il primogenito Alberico II invece eredita il feudo di Ariano (1528), con il titolo di Duca, ed altre città tra cui Monteleone, Pulcherino e Villanova.

Il 17 marzo 1517 ci fu un altro disastroso terremoto.

Nel 1528 ci fu un’altra epidemia di peste. Le conseguenze furono disastrose e durarono molti anni, tanto che nel 1541 il Papa Paolo III esonerò la città dal pagamento delle tasse dovute.

  1. I Gonzaga e i Gesualdo (1532 – 1585)

Il ducato viene tolto da Carlo V ai Carafa nel 1532 per darlo a Ferrante Gonzaga. A Ferrante succede il figlio Cesare. Alla morte di Cesare (1577) la vedova Camilla Borromeo, principessa di Molfetta e madre di Ferrante II Gonzaga, vende il Ducato di Ariano a Laura Loffredo, vedova di Fabio Gesualdo. A Laura succede il figlio Giovan Geronimo il quale alla sua morte lascia al giovane figlio Fabio molti debiti. I suoi tutori vendono la città a Fabrizio Gesualdo, Principe di Venosa (28 febbraio 1585) per 75.150 ducati.

Nel 1561 un disastroso terremoto danneggiò Ariano, Calitri ed Avellino.

  1. Ariano Città Regia (1585)

Il 2 Agosto 1585 gli Arianesi riscattano la città dal regime feudale rimborsando i 75.150 ducati che il Principe Gesualdo aveva pagato qualche mese prima. Così Ariano, diventata città Regia, viene reintegrata nel Demanio dello Stato e dipende direttamente dal Viceré del Regno delle Due Sicilie. In realtà il debito non verrà mai saldato completamente. I soldi che erano stati anticipati da banche e privati, non furono mai completamente restituiti e per molti anni a venire la città fu spesso sul punto di essere svenduta dal Demanio.

Dal 7 dicembre 1626 inizia una serie di scorre telluriche che dura quasi tre mesi. Per questo terremoto Fabio Barberio compone due opere, vantandosi di conoscerne la causa associando le scosse alle eruzioni del Vesuvio. In quel periodo infatti il Vesuvio è molto attivo, ne sono prova la pioggia di cenere che nel 1631 si spinge fino alla costa adriatica, ed altre che avverranno nel 1637, 1737, 1789 e nel 1872.

  1. I moti di Masanaiello (1647 – 1648)

A causa del fatto che Ariano è città Regia e fedele al Viceré la porta ad opporsi alla linea rivoluzionaria di Masaniello. Pertanto subisce l’assedio dei ribelli napoletani ed un saccheggio per aver bloccato il transito del grano proveniente dalla Puglia. Il 5 marzo 1648 i ribelli entrano in città rubano animali, devastano le campagne e incendiano le case rurali, “ai quali danni non si poté porgere alcun rimedio, per essere rimasti nella città pochi cavalli, e quelli assai maltrattati per mancamento di strame”, e per non fare che col rischio di nuove perdite si rendesse più difficile la difesa della città. Dopo averla saccheggiata, i ribelli assassinano il Duca di Salza, il Marchese di Buonalbergo, il Marchese di Bonito ed altri nobili venuti ad Ariano per difenderla dagli insorti.

Nel 1659 è Governatore di Ariano lo spagnolo Diego Guerra, padre di Domenico Guerra, Arcivescovo di Merida e confessore ordinario della Regina Elisabetta moglie di Filippo V.

Altri violenti terremoti si susseguono nel 1638 (27 marzo), nel 1688 (5 giugno), nel 1694 (8 settembre) e nel 1702 (14 marzo). Il più terribile è quello del 1732, durante la notte tra il 29 e il 30 novembre. Le scosse si ripetono sino all’inizio dell’anno successivo. I poveri cittadini malamente ricoverati sotto le tende sullo spianato del Castello soffrono patimenti indescrivibili per la neve copiosa, per la mancanza di fuoco e viveri. E ce ne sarà un altro ancora nel 1794.

Ad Ariano nasce il Cardinale Marcello Passeri (1678-1741) figlio di Ascanio Passeri e Antonia Intonti.

Dopo una breve parentesi austriaca (Asburgica) dal 1713, il Regno di Napoli ritrova la sua indipendenza nel 1734 con Carlo di Borbone, figlio del Re di Spagna Filippo V d’Angiò, nipote di Luigi XIV.

Il periodo napoleonico e della Rivoluzione francese vede grossi sconvolgimenti nel Regno, dapprima con la nascita e la morte della Repubblica Napoletana nel 1799, e in seguito con l'instaurarsi della dinastia dei Napoleonidi (anche detta da alcuni Murattiana) tra il 1806 e il 1815. La città di Ariano partecipa attivamente al clima della rivoluzione francese e alla successiva discesa dei francesi, infatti quando il Generale Championnet fa la sua marcia su Ariano, la città reagisce issando l’albero della libertà quale emblema rivoluzionario.

Dopo la Restaurazione, nel 1816, con il ritorno dei Borbone, i due regni di Napoli e Sicilia furono nuovamente formalmente uniti nel Regno delle Due Sicilie che sarebbe sopravvissuto fino all'unità d'Italia.

Anche il XIX secolo non risparmia Ariano con altri terremoti, il 26 luglio 1805 e il 9 aprile 1853. Ed ancora nel 1857, 1858, 1861, 1893 danni e lutti ad Ariano e in altre città dell’Irpinia.

  1. Storia recente

La storia di Ariano dopo i moti di Masaniello, si perde con quella dell'unificazione d'Italia e in generale con quella del Mezzogiorno.

Suoi patrioti parteciparono ai moti carbonari del 1820-21, il 4 settembre 1860 vi fu un moto reazionario e nella sua piazza, il 21 ottobre del 1860, venne proclamato il plebiscito che la univa al resto d'Italia.

14.1    I fatti di Ariano del settembre 1860

I fatti di Ariano sono la storia di uomini semplici, poveri e disperati che, disorientati dagli eventi e plagiati dal potere del tempo, si lasciano trascinare in una vicenda troppo più grande di loro e che rapidamente diviene ingestibile tanto da farsi travolgere completamente.

Siamo nel settembre 1860. Garibaldi con i suoi uomini sta unificando l’Italia. E’ alle porte di Napoli e continua a combattere con quello che resta dell’esercito Borbonico, ancora perfettamente organizzato e potente. In tutte le città, in tutte le contrade si viene a proporre prepotentemente il dilemma: con chi stare? I garibaldini, i liberali, i rivoluzionari, agli occhi della gente comune sono forestieri, usurpatori che dall’esterno pretendono di capovolgere lo stato delle cose. Non è ancora chiaro cosa possono offrire alla gente in caso di vittoria. E minacciano i signori del tempo, la struttura feudale ancora tanto radicata in una società contadina millenaria. E minacciano lo Stato Pontificio e quindi la Chiesa ancora molto potente in una città come Ariano sempre stata dalla parte del Papa. Il Clero che è fortemente e strettamente legato ai signori di Ariano. I Signori di Ariano che possono disporre di eserciti di contadini, di villani, al loro servizio. A questo punto ai contadini, ai poveracci di Ariano appare quasi scontato mettersi dalla parte dei Borboni. Perché non possono scegliere diversamente. E in questa storia si inserisce la figura di Bartolomeo Lo Conte detto Meo Scarnecchia. Colono del Marchese d’Afflitto, sa che è il momento di mettersi in prima linea per emergere dalle tenebre dell’anonimato e della miseria. E’ un valido esecutore di decisioni politiche infinitamente più grandi di lui. E ne pagherà le conseguenze.

Nei giorni che precedono il 4 settembre 1860 ci scatenano accanite discussioni nel palazzo del potere di Ariano. Il Comitato Centrale d’Ordine di Napoli, per il coordinamento insurrezionale e dei Comitati periferici si avvale dell’opera di tre Irpini: il Marchese Rodolfo D’Afflitto di Ariano, Antonio Ciccone da Savignano e Antonio Miele da Andretta. Ariano divenne così il centro del Movimento Insurrezionale Irpino e Sannita. Già dal 25 agosto 1860 Ariano è nota come località proposta per il concentramento delle forze insurrezionali e il Generale Vincenzo Carbonelli viene inviato emissario di fiducia, da Garibaldi. Il Carbonelli, che può disporre di circa 600 uomini giunti da Avellino con il Generale De Conciliis e da S.Angelo con la banda musicale di Taurasi, dà subito disposizione che ad Ariano si concentrino tutti gli insorti di Foggia, del Molise, del Beneventano e di Terra di Lavoro. Nel frattempo il Generale Borbonico Flores avanza da Bari e si ricongiunge a Cerignola con il Generale Bonanno. I borbonici armati a Cerignola sono ormai 6000. I liberali invece attendono l’arrivo del Maggiore De Marco da Benevento con circa 2000 persone armate.

Nella notte dal 3 al 4 settembre ad Ariano ci fu movimento. Non ci si limitò a strappare i manifesti inneggianti alla rivoluzione. E’ verosimile immaginare come si siano moltiplicate le visite e le raccomandazioni ai contadini da parte dei preti e dei capi-contrada perché stessero pronti ad affrontare i forestieri, quelli che volevano esporre la città alla vendetta del generale Flores con le conseguenze immaginabili per le proprietà, per le case, per la stessa statua di S. Oto tutta d’argento. E, se pure avessero vinto, ci sarebbero state lo stesso conseguenze negative, perché dietro Garibaldi c’era l’anarchia e il disordine. I filoborbonici erano da tempo impegnati ad organizzare il malcontento e la mobilitazione. Ad Ariano era stato il conte Gaetani che aveva incontrato Leopoldo Parzanese, di cui era compare, lasciandogli anche una somma di denaro per promuovere la sollevazione.

La famiglia Anzani fece pesare il suo potere concreto. Don Nicola era provicario al Vescovado, Don Giuseppe era il depositario dei sali per Ariano e per i paesi circostanti, Don Francesco era Colonnello dello Stato Maggiore borbonico e su Don Girolamo, già comandante della Guardia urbana, era corsa la voce che dicesse: “Se vince Francesco II io sarò re di Ariano”. Vero o falso che fosse il sogno di questa autoincoronazione di don Girolamo, la voce stava a dimostrare che godeva di un notevole potere di cui darà prova concreta.

Alleato degli Anzani era Peppe Santosuosso “cappellano di Torre d’Amandi ed arbitro assoluto della volontà di quei villici”.Il disimpegno dei moderati, in seguito alla precisa direttiva del d’Afflitto, dette spago ai filoborbonici e forza ai loro argomenti.

Lo stesso don Raimondo e i suoi amici si prodigarono per diffondere le direttive del marchese. L’indomani il colono del d’Afflitto, Bartolomeo Lo Conte detto Scarnecchia, sarà in prima fila ad aizzare i contadini contro i liberali e poi ad aggredirli.

E le guardie nazionali il giorno dopo si trovarono tutte in servizio di ordine pubblico nelle contrade “calde” partecipando attivamente al massacro.

La mattina del 4 settembre arrivano, alla guida di Camillo Miele, dopo due giorni di estenuante marcia, circa 300 "militi della libertà", provenienti da S.Angelo dei Lombardi. E si sdraiano nello spiazzo del Palazzo Vescovile cercando di trovare un poco di sollievo. Intanto, sin dal primo mattino, le campane del centro e delle borgate suonavano a distesa. Il clero svolgeva il suo ruolo, chiamando a raccolta cittadini e villici asserviti ai notabili del paese rimasti fedeli alla monarchia Borbonica.

Verso le 10 si riunirono nel Vescovado i capi dell’insurrezione. Furono subito rimesse in discussione le decisioni prese ad Avellino due giorni prima. I convenuti non erano d’accordo sulla composizione del Governo provvisorio. Ai problemi di rappresentanza “tutti i capi dei diversi drappelli volevano essere ministri”, si aggiunsero quelli di equilibrio politico. Ma il governo provvisorio proposto non dava garanzie sulla possibilità di difendere la città dalla colonna di Flores. Intanto la gente cominciava a raccogliersi sotto il Vescovado esprimendo ostilità nei confronti dei forestieri; andassero a radunarsi altrove. Le divisioni, che si determinarono all’interno dell’Episcopio, furono portate in piazza e contribuirono ad aggravare il giudizio su quei liberali che non riuscivano a mettersi d’accordo.

I “militi della libertà” erano stanchi ed erano innervositi sia dalle lungaggini della politica sia dalle minacce degli arianesi che si facevano sempre più pesanti.

Il Generale Carbonelli cercava di organizzare la difesa dei suoi uomini da un assalto che ormai appariva quanto mai probabile; gli era già stato sparato un colpo di fucile da una finestra che aveva potuto schivare per miracolo.

Qualcuno tagliò il filo del telegrafo, la “corda elettrica”. Un gesto che significava l’isolamento della città, sul quale i capi della sommossa fecero leva per scatenare il dramma.

Da ogni dove i reazionari a frotte affollavano frettolosamente le vie e le piazze della cittadina al grido di: Viva Francesco II, morte ai forestieri!, mentre Bartolomeo Lo Conte detto Meo Scarnecchia, adunava e inquadrava i villici armati delle contrade prossime. L’atteggiamento provocatorio e minaccioso delle migliaia di monarchici, favorirono lo sbandamento delle poche centinaia di patrioti che trovarono rifugio nella vallata. Solo un centinaio d'insorti liberali rimasero a disposizione del Carbonelli asserragliato nel Vescovado. Camillo Miele, Cipriani, i santangiolesi e altri gruppi sparsi ritennero più opportuno di ritirarsi verso Grottaminarda. Questa divisione delle forze, già così scarse, aggravò la situazione perché gli aggressori capirono che ormai erano padroni del campo.

Lungo la strada, a S. Rocco, a Cardito, i volontari furono affrontati dai contadini dai quali cercavano di difendersi più con la fuga che con le armi. Si spiega anche così che tra gli assalitori arianesi non ci furono morti. La sproporzione delle forze era tale che non dava nessuna speranza.

Ma a contrada Manna i fuggitivi trovarono una vera e propria imboscata preparata dal prete Santosuosso e da Meo Scarnecchia “uomo membruto, robusto e feroce”. E qui si scatenò una ferocia che lascia allibiti. Si trovarono presto alla mercé dei contadini filoborbonici armati che, nascosti tra le siepi e gli arbusti, miravano all’uomo e il comandante Miele esortò i suoi ad allungare il passo senza accettare il combattimento. Poca strada fecero che si accorsero di essere circondati da ogni parte, fu giocoforza fermarsi, prendere posizione e battersi da leoni. La lotta fu impari: meno di trecento patrioti allo scoperto contro circa 4000 reazionari in agguato guidati da Meo Scarnecchia. Quelle masse, sconvolte da giorni e giorni di insistente propaganda sui “banditi” che sarebbero arrivati per rapire il Santo e attentare alle proprietà e all’onore delle donne, istigate da figuri senza scrupoli e con gravi precedenti penali, assassinarono, rubarono, si accanirono sui cadaveri. E si aggiunsero le Guardie Nazionali: sia quelle che erano state epurate sia quelle in servizio.

Calata la sera il combattimento cessò, ma i padroni del campo restarono i villani a compiere oltraggio verso i patrioti caduti: derubandoli, denudandoli e anche decapitandoli prima di seppellirli per minimizzare la strage. Al mattino sul terreno si contavano ancora 33 patrioti caduti contro gli 80 reazionari e numerosi furono i feriti da ambo le parti.

Il Magg. Giuseppe De Marco comandante i Cacciatori Irpini, che si trovava ancora nel Beneventano, alla notizia della sanguinosa strage, rimase indignato e promise vendetta.

Il sorgere del sole del 5 settembre fu accolto nuovamente dal suono a distesa dai campanili di tutte le chiese del centro di Ariano e delle campagne alle quali facevano eco gli squilli dei paesi vicini e alle campane a martello si univano i villici che frastornavano l’aria con campanacci e "tofe" rudimentali di corna di bue, al grido di: Viva Francesco II, morte a Garibaldi!

Il gruppo rimasto in Vescovado era assediato da una popolazione minacciosa e ormai esaltata dalle notizie che arrivavano dalle campagne che erano state teatro del massacro.

Fu avviata una trattativa con quelli che erano immediatamente apparsi i capi della sommossa. Convinsero don Girolamo Anzani, don Francesco Gelormini, il canonico Forte, ed altre primarie persone, ad accompagnarli sino ai confini del paese verso le cinque pomeridiane. In realtà Anzani e i suoi amici avevano vinto e accompagnando i patrioti fuori della città si accreditavano ancora una volta come i suoi veri dirigenti. Si accreditavano magnanimi e generosi a tutta quella gente, a quella folla che al loro passaggio si apriva obbediente. Si accreditavano alle nuove classi dirigenti come i titolari di un potere grande ed esteso con i quali avrebbero dovuto fare i conti: un fratello di don Girolamo, Luigi, sarà eletto Sindaco e un nipote, Ottavio, sarà consigliere provinciale e deputato del collegio di Ariano.

I superstiti della “colonna” raggiunsero Greci, dove furono accolti con entusiasmo e tanta ospitalità. Incombeva però il pericolo dell’arrivo della colonna del generale Flores. E quindi bisognava andar via. E poichè la zona più sicura era quella che confinava con Benevento che era già stata liberata, De Concili e gli altri si avviarono verso Casalbore. Di qui partirono all’alba del 6 settembre salutati dalla popolazione in festa.

Nei giorni 6 e 7 Settembre Ariano era ancora nelle mani dei reazionari e l’entrata in città delle truppe Borboniche dei Generali Flores e Buonanno fu accolta festosamente dai rivoltosi che credevano di aver definitivamente vinta la partita. Alla notizia dell’ingresso in Ariano delle truppe borboniche, le milizie rivoluzionarie dei Cacciatori Irpini, con in testa la fanfara del battaglione, guidate dal De Marco l’8 settembre si mossero da Apice a marce forzate verso il territorio Arianese.

Il mattino successivo fu istituito il Governo Provvisorio a Buonalbergo. La composizione era diversa da quello che era stata stabilita ad Avellino.

La reazione di Ariano, oltre che la vittoria sul campo, otteneva anche quella politica: l’emarginazione degli azionisti. Si consolidava sui morti della contrada Manna quella larga convergenza che già si era costruita per organizzare il fallimento dell’insurrezione. Quello stesso giorno 7 settembre Garibaldi entrava a Napoli.

L’8 settembre Il Generale Carbonelli fu nominato, dal Governo Provvisorio Arianese, Comandante Generale delle forze insurrezionali.

Invece il 9 settembre arrivò il Magg. De Marco e i suoi “Cacciatori” e De Blasiis con la colonna del Matese. Erano le forze che dovevano arrivare ad Ariano sei giorni prima.

Sempre il 9 settembre Francesco de Sanctis veniva nominato Governatore della Provincia di Principato Ultra. Il Governo Provvisorio non aveva più ragione di esistere.

Intanto Ariano rimaneva nelle mani dei “sollevati”. Girolamo Anzani, Leopoldo Parzanese, Francesco Ciani, Raffaele de Paola, i fratelli Forte, Ettore ed Emilio Figlioli diventarono i dirigenti della città. Il Sindaco, F. Carchia, abbandonò il comune dandosi ammalato.

I filoborbonici capeggiarono la “ribellione” invece che farsi travolgere da essa. La capeggiarono in nome della difesa di una monarchia: furono portate in giro festosamente le immagini di Francesco II e Maria Sofia. In realtà difendevano il proprio ceto e i propri privilegi.

Alla notizia che Garibaldi era entrato a Napoli l’esercito borbonico cominciò a sbandarsi. Il Generale Flores il 9 settembre si era recato ad ispezionare la rete stradale tra Grottaminarda, Mirabella Eclano e Montemiletto con a seguito Ufficiali dello stato maggiore e un reparto armato di scorta. In avvicinamento ad Ariano il Magg. De Marco ebbe notizia di questa sortita del Flores e, con sorpresa, attaccò la scorta che fu sopraffatta dai Cacciatori Irpini e il Generale Flores, con tutto il seguito, fu fatto prigioniero sulla rotabile tra Pietradefusi e Campanariello (attuale Venticano). Cattura che favorì lo sbandamento della colonna borbonica e la più sicura tenuta di Napoli da parte di Garibaldi e più agevoli manovre per le successive battaglie.

Il 10 alla notizia dell’arresto del Generale, la colonna Flores di stanza in Ariano si dissolse con un totale sbandamento dei soldati che abbandonarono in loco un ingente bottino di armi, munizioni, casermaggio, vestiario che divenne preda della popolazione.

Il giorno 13 settembre il Magg. Giuseppe De Marco entra, con i suoi Cacciatori Irpini e la fanfara, in Ariano tra lo scontento del popolo e lo scompiglio creato dalla diserzione delle truppe borboniche.

Il 14 giunsero in Ariano le legioni del Matese e del Molise a dare man forte al De Marco che aveva trovato una gravissima situazione di disordine e reazione. Fu eseguito un primo setacciamento delle campagne con arresti e sequestro di armi e materiale di provenienza bellica, ma si rinvennero pure indumenti dei liberali massacrati dai reazionari borbonici e cadaveri sepolti sotto un sottile strato di terreno. Nello stesso giorno mentre nella cattedrale si cantava il Tedeum, il Generale Carbonelli, Comandante Generale della forze insurrezionali, conferiva al Magg. De Marco tutti i poteri militari e civili su Ariano e l’intero circondario ove maggiori erano le ostilità e la presenza di gruppi reazionari bene armati.

Il De Marco ristabilì subito la calma nel centro cittadino con perlustrazioni permanenti diurne e notturne e l’impiego di due compagnie di Cacciatori suddivise in tre reparti di 80 uomini con fucili pronti allo sparo e baionette in canna. I reazionari non accettavano di buon grado le misure repressive del De Marco: la vigilanza rafforzata e l’epurazione in tutto il circondario delle autorità sospette e non affidabili. Ordinò il disarmo di tutti i cittadini con la consegna dì ogni tipo di arma da fuoco e da taglio e intensificò gli arresti dei responsabili del sanguinoso scontro del 4 settembre e del successivo vandalismo esercitato sui feriti e sui cadaveri dei Patrioti Liberali.

Tra gli arrestati non mancarono prelati ancora fedeli alla monarchia Borbonica e tra i più illustri: il Canonico Forte, il francescano Ciardulli e i sacerdoti Giuseppe Santosuosso e Nicola Vernacchia. Il comportamento vigoroso, sennato ed efficace del De Marco aveva domato, senza spargimento di sangue, i malintenzionati sempre pronti per organizzare nuove sommosse e per la qual cosa fu costretto a proclamare lo stato d’assedio e il coprifuoco in tutto il circondario.

In seguito alla pressante protesta dei cittadini che si lamentavano per la eccessiva severità dei provvedimenti, il De Marco il 21 settembre tolse lo stato d’assedio e il 26, sicuro di aver ristabilito l’ordine in Ariano e dintorni, partì per compiere analoga opera di repressione a Mirabella Eclano il 27 e a Pietradefusi il 28 settembre.

Fu così che, riportata la calma tra quella gente che arditamente si era battuta, con molto spargimento di sangue, per la causa di fedeltà al Regno delle due Sicilie e dopo avere assicurato alla Gran Corte del Principato Ultra i malfattori e i responsabili di delitti, il De Marco e il Generale Carbonelli il 29 settembre, lasciano nella pace la città di Ariano e l’Arianese per trasferirsi al Volturno, sui luoghi di combattimento agli ordini diretti del Dittatore Garibaldi.

I fatti di Ariano contribuirono ad accendere reazioni anche in altri comuni della provincia. Le più note sono quelle di Montemiletto e di Torre le Nocelle dove, però, la rabbia dei contadini si rivolse contro i “galantuomini” del posto.

Nel caso di Ariano i ceti possidenti furono facilitati nel disegno di evitare l’urto con i contadini da due condizioni: dalla assenza di ogni spinta in direzione del coinvolgimento dei contadini che era “rimasta”, in Sicilia, soffocata dall’intervento di Bixio e dalla alleanza nella difesa della terra tra borbonici e liberali. “Vegliate, per Dio! che non si discrediti il movimento con la mancanza di rispetto verso la proprietà” aveva “gridato” il D’Afflitto a Raimondo Albanese.

Egli difendeva certamente una politica: quella di compiere una “rivoluzione senza rivoluzione”. Ma questa politica aveva le sue radici anche nella sua “condizione” di essere cioè uno dei più grandi proprietari terrieri di Ariano.

Cosa ne fu di Bartolomeo Lo Conte detto Meo Scarnecchia? Fu condannato a 20 anni di carcere, all’età 53 anni. Il suo sogno finì massacrato sotto le sue stesse mani, armato di odio fino ai denti, in compagnia di un prete e con il benestare del suo signore, con la stessa violenza con cui lui stesso aveva massacrato i liberali in fuga sulla strada di Grottaminarda in quella maledetta notte del 4 settembre 1860.

Dal 1868 al 1930 Ariano viene chiamato di Ariano di Puglia. Dal 5 giugno 1930 prende il nome di Ariano Irpino.

Le guerre mondiali e il fascismo la videro coinvolta in pieno, come pure l'hanno sempre colpita, arrecandole gravissimi danni, tutti i terremoti che si sono susseguiti nella zona, gli ultimi dei quali risalgono al secolo appena terminato: iniziarono il 26 novembre 1905, e successivamente quasi ogni anno fino al 23 luglio 1930 quando ci fu il più violento che rase al suolo Villanova ed Aquilonia e danneggiò seriamente Ariano provocando nella provincia di Avellino più di 1000 morti. Solo allora il Governo e la società si accorsero dell’arretratezza di alcune zone dell’Irpinia prive di strade e di strutture; la mancanza di strade determinò infatti un ritardo nei soccorsi. Reparti dell’esercito accorsero, e quando giunsero nei paesi disastrati si accorsero di non disporre di pale e picconi per rimuovere le macerie. Ma la ricostruzione fu rapida ed efficiente. Il 21 agosto 1962 un altro terremoto, con epicentro tra Ariano e Melito, produsse danni a Grottaminarda e Bonito e la distruzione di Melito, ricostruita interamente in altra località. L’ultimo, che risale al 23 novembre 1980, ha provocato oltre tremila vittime in Irpinia e Basilicata ma questa volta ha risparmiato Ariano provocando soltanto danni a strutture fatiscenti e ad alcuni monumenti (Chiesa di San Francesco e il Campanile della Cattedrale).

  1. Oggi

Oggi è la seconda città della provincia, dopo Avellino, e conta più di 23 mila abitanti. E' sede di Diocesi, di Tribunale, di un ospedale, della comunità montana dell'Ufita, di un Distretto scolastico, di un modernissimo super carcere e di tutti gli uffici sovra comunali, oltre che di numerose banche.

Di particolare interesse la villa comunale che, prima del 1876, era il giardino del castello. La villa occupa 40 mila metri quadrati e può considerarsi uno dei "parchi" più belli della Campania.

Ariano ha dato i natali a moltissimi uomini illustri, tra i quali vanno ricordati il poeta Pietro Paolo Parzanese, lo storico Tommaso Vitale, i cardinali Diomede Carafa, Marcello Passeri e Filippo Maria Pirelli, il filosofo Aurelio Covotti.

  1. Riferimenti

Domenico Petroccia, Origini e rovina di Aequum Tuticum.
http://xoomer.virgilio.it/davmonac/sanniti/touxpet.html

Rete Civica di Ariano Irpino, La città, cenni storici.

http://www.comune.ariano-irpino.av.it/ariano/descstoa.htm

Associazione Italiana Città della Ceramica, Ariano Irpino, una storia scandita dai terremoti.

http://cat.mag-news.it/nl/a.cfm?Ra.2.0.CZ.A.A.A.A

Agriturismo Tre Colli, Storia di Ariano

http://www.agriturismotrecolli.it/ariano.html

Gruppo di Azione Locale Ufita, Itinerari turistici nel territorio dell’Ufita.

http://www.galufita.it/itinerari/main.htm

Consorzio ASMEZ, Un po’ di storia di Ariano Irpino.

http://www.asmez.it/arianoirpino/storia.htm

Istituzione scolastica statale “Guido Dorso”, Breve storia di Ariano, le Assise, i terremoti.

http://www.istitutodorso-ariano.it/Ariano_Irpino/hometema.htm

Castelli d’Italia, Il Castello Normanno di Ariano Irpino

http://www.icastelli.it/regioni/campania/avellino/arianoirpino.htm

Salvatore Salvatore, Ariano Irpino, la storia e le origini

http://www.agendaonline.it/avellino/arianoirpino.htm

Angelo Gambella, I normanni del sud, eventi, Ariano Irpino

http://www.storiaonline.org/normanni/eventi_ariano.htm

Mondi medievali, Storia medievale dei castelli della Campania

http://www.mondimedievali.net/Castelli/Campania/avellino/provincia.htm

Regione Campania, Centro Turistico Culturale, Il Castello Normanno di Ariano Irpino

http://www.regionecampania.org/beniCulturali/beneCulturale.asp?IDBene=222&IDComune=6268

Nicola D’Antuono, Progetto Itinerari Turistici Campania Interna. La Valle del Miscano, Vol.2°

http://www.comune.ariano-irpino.av.it/ariano/castello.htm

Agriturismo Macchiacupa, Ariano Irpino e la valle del Miscano

http://www.macchiacupa.it/ariano.html

Campania Industry, Itinerari turistici alternativi, storia, tradizioni e monumenti.

http://www.campaniaindustry.it/ariano.html

Real Casa di Borbone delle Due Sicilie, Storia e documenti

http://www.realcasadiborbone.it/ita/archiviostorico/cs_011.htm

Santi e Beati, Biografie dei Patroni di Ariano

http://www.santiebeati.it/index.html

Itinerari, la Puglia in Rete, La montagna sacra: Incoronata

http://www.itineraweb.com/it/gt/ms_incoronata.php

De Martino, Il Brigantaggio nella Provincia di Benevento 1860-1880

http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio%5CStoria%5CProvnascita.htm#come

Nicolino Polcino, I fatti di Ariano del settembre 1860

http://www.brigantaggio.net/Brigantaggio/Personaggi/De%20Marco3.htm#fioravante

Gaetano Grasso, Pagine di Storia, Ariano dall’Unità d’Italia alla Liberazione

http://www.edizionilaginestra.it/

Campania Felix, Storia della Campania

http://www.campaniafelix.it/campania/storia.htm

Corriere del 2000: Cronologia.it, I Borbone Re di Napoli

http://www.cronologia.it/storia/biografie/renapoli.htm

http://www.cronologia.it/storia/biografie/ferdina1.htm

http://www.cronologia.it/storia/biografie/ferdin2.htm

http://www.cronologia.it/storia/biografie/ferdina3.htm

http://www.cronologia.it/storia/biografie/borbon3.htm

http://www.cronologia.it/storia/biografie/capeti.htm

Wikipedia, l’enciclopedia libera.

http://it.wikipedia.org/wiki/Neolitico

http://it.wikipedia.org/wiki/Longobardi

http://it.wikipedia.org/wiki/Normanni

http://it.wikipedia.org/wiki/Regno_di_Napoli

http://it.wikipedia.org/wiki/Regno_delle_Due_Sicilie

http://it.wikipedia.org/wiki/Elenco_dei_monarchi_di_Napoli_e_Sicilia

Foto di Ariano | Albero genealogico | Origini dei Lo Conte

 Copyright (C) Pietro Lo Conte 2006